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15/03/08
La "sete" di
sempre
Macbeth e la brama
del potere
Leggendo la celeberrima opera teatrale di
Shakespeare, il “Macbeth”, abbiamo voluto approfondire una delle tematiche di
cui tratta, l’ambizione al potere. Vi presentiamo le considerazioni a cui siamo
giunti e vi invitiamo a esporre le vostre opinioni a riguardo.
Perché un uomo vissuto quattro secoli fa può
ancora avere importanza nella nostra formazione? Perché un teatro che ne
rappresenti le opere riesce ancora ad avere un pubblico non solo numeroso, ma
anche ogni volta estasiato? A cosa è dovuto questo successo? Shakespeare forse
deve la sua popolarità al fatto che la sua opera è stata in ogni epoca di
incredibile attualità. I concetti che ha espresso e forse per primo formulato
compiutamente possono essere senza dubbio, e senza parlare per luoghi comuni,
chiamati senza tempo. Basti pensare alle sue tragedie più famose, come Romeo
e Giulietta, l’Amleto o il Macbeth. Quest’ultimo lavoro
teatrale è infatti un’ inconfutabile prova di quanto, se non la società, l’umano
pensare e percepire e provare siano rimasti quasi immutati dopo tanti anni.
Macbeth era un nobile soldato di Scozia. Era un cavaliere valoroso, fedele e
onesto, premiato con il titolo di Barone per il valore dimostrato sul campo di
battaglia e la dedizione al suo re. Sulla via del ritorno però incontrò tre
streghe che, con le sole parole, profetizzandogli ciò che più la sua ambizione
desiderava, lo indussero prima al disonore e poi alla pazzia. Le tre streghe gli
predissero la futura sovranità, il potere supremo. E proprio per questo potere
Macbeth si dimostrò pronto a perdere la dignità e alfine anche il senno.
Ciò di cui parlava Shakespeare agli inizi del 1600 è la stessa cosa che tuttora
determina tante decisioni, che forse oggi più di ieri modifica la vita di una
persona e che da sempre è riuscita a spingere l’uomo a superare i limiti:
l’ambizione all’assoluto, il rifiuto di fermarsi e accontentarsi se
resiste la più fievole fiducia di poter fare di meglio cullata dal pensiero di
illusioni inconsistenti. Perchè in fondo anche il più retto, il più leale e
forte fra i cavalieri, sconvolti i suoi valori da poche parole, può arrivare a
tradire e uccidere il suo re, può arrivare a spezzarsi nella pazzia, scatenata
una brama che ignorava in se stesso da tre streghe miserevoli. E oggi in fondo
che cosa è cambiato? Non ci sono più “cavalieri”, non ci sono più “re”, il
valore più grave che si possa pensare di trasgredire adesso non è la fedeltà.
Eppure nulla cambia: qualunque sia questo “supremo valore”, che sia universale,
che sia personale e privato per ognuno, ammesso che abbia ancora un posto nella
nostra mente, ci potrà capitare di chiederci, seppure con sgomento, se saremmo
in grado di abbassarci e deturparci tanto da violarlo...forse è proprio per
questo che ci ammalia tanto il Macbeth, perchè ogni spettatore, ogni uomo
ritrova la sua intima debolezza rappresentata sul palcoscenico e apre la
finestra su uno dei possibili, probabili scenari che allestiremmo se solo
fossimo abbastanza coraggiosi o abbastanza deboli da assecondare le nostre più
selvagge ambizioni, soggiogando e infrangendo ogni impedimento che sia fuori o
dentro di noi. Il genio di Shakespeare allora risiede proprio in questo, perchè
ogni volta che si apre il sipario sulla sua opera, ogni astante sente l’invito
ad affacciarsi e a guardare l’ammaliante orrore, l’abisso d’inferi da cui egli
stesso, come tutti, si è sentito attratto, e mentre guarda con repulsione e
curiosità qualcosa che in altre forme anche lui ha immaginato e temuto per se
stesso osserva, riflette e giudica un panorama di circostanze e azioni che vanno
molto oltre la mera rappresentazione che ha dinanzi agli occhi. E’ quindi questo
che riesce e sempre riuscirà ad affascinare, dopo dieci, cento o mille anni?
Marco B., Lucia F., Serena F.
(Liceo
Alessi, il lycée lurçat non studia Macbeth ma il tema del potere è
comune ai due licei)
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